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La pittura di Ernani Costantini * |
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di Paolo Rizzi |
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È impossibile che un vero artista
non immetta sulla tela tutto il bagaglio di cultura, di sentimenti,
anche di ideologie. Costantini ha le sue idee, una sua precisa impostazione
culturale: è amante della storia, è uomo religioso, crede
nei valori, intende agire per affermarli nella società.
Ma la discrezione con cui immette il suo ‘credo’ nella
sua pittura ci dà anche la misura di che cosa egli intenda per
libertà. Con gentilezza, direi persino con pudore, l’artista
propone al pubblico la sua immagine del mondo, senza farla scendere
dall’alto, senza forzarne la ricezione.
Questa immagine è simile al dettato primo della natura: quasi vi si compenetra.
Un prato, un fiore, una fanciulla nuda, uno scorcio veneziano, un mazzetto di
fiori, magari il vestito di un Pierrot appoggiato sulla sedia: tutto si presenta
con la felicità dell’invenzione, come un dono fragrante dato allo
spettatore. C’è affabilità estrema nel colloquio: la mano
che porge accarezza e subito si ritrae. Il dono è gradito, riscalda il
cuore.
Dietro questa apparente semplicità, dietro questa grazia
liberale, c’è sì un grande mestiere, un’abilità che
balza subito agli occhi. Ma non si tratta solo di questo: sarebbe
un errore giudicare Costantini secondo la mera correttezza delle
regole formali.
Tutto ciò che nella freschezza della sua pittura ci si presenta è frutto
di un lungo processo di depurazione, di vaglio, di sintesi. Egli è giunto
a sfrondare l’immagine da qualsiasi contingenza, fino a tentare
una immedesimazione (che potrebbe apparire utopistica) con le leggi
immutabili della natura.
In un’epoca come la nostra, calata nel dettato del gusto (e
quindi della moda) il suo è un tentativo di giungere ad una
universalità di espressione. Il pittore vuol dire qualcosa
che non sia legato al momento.
Ecco la verità che in Costantini ci si svela: dipingere può voler
significare anche il superamento di una immanenza che ci condanna.
Un quadro diventa portatore di una parola che resta: il segno di
una presenza, appunto, universale. Dietro questa concezione non può non
esserci una religiosità di fondo, la fede in certi valori
che vanno al di là del tempo. La natura (un albero, un frutto,
un fiore) si fa tramite di un’altra realtà – trascendente,
quindi divina – attraverso la quale si manifestano i valori
dello spirito. Ogni immagine, ogni particolare di immagine, rimanda
a qualcosa che è al di là…
Il colore può essere sottilmente elegante oppure vivo e squillante,
la forma scattante oppure fluida, l’atmosfera solare o lunare:
sono momenti che rispecchiano non una situazione contingente, ma
una sua trasposizione nella sfera spirituale, dove rimane l’essenza,
il profumo, la misura eterna dell’esistere. Tocca a noi immedesimarci
in questa realtà. |
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(1980) |
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Ora, a distanza di tanto tempo da quelle
parole, e proprio in occasione degli ottant’anni di Ernani Costantini,
tutto diventa una conferma. Tutto: cioè non soltanto la pittura
successiva al 1980, non soltanto la forte reazione che l’artista
ha avuto alla perdita dell’adorata moglie Lina, non soltanto
l’incedere del tempo che forgia ancor più il carattere
di un uomo e ne consolida la cultura. Ma anche e soprattutto il rinvigorirsi
della fede in quei valori che sono rimasti intatti malgrado le convulsioni
sempre più caotiche della società in cui viviamo.
La pittura di Ernani, così fresca, così sciolta, così affabile,
si è fatta portavoce di un desiderio, che si fa diffuso nella
cultura più attenta, di inserire ogni espressione dell’uomo
in una sfera che non sia quella, così labile, del gusto. Nella
pittura noi vogliamo trovare – anche se non esplicito – un
messaggio: quasi una parabola, un’allegoria, certo una voce che,
affondando nel nostro animo, ne tragga conforto.
Ecco il valore di Ernani dai bianchi capelli e dallo sguardo fermo:
la capacità di estrarre da ogni immagine, anche la più quotidiana,
la più apparentemente adusata (una veduta di Venezia o un nudo
di ragazza) il succo di antichi e sempre nuovi valori, magari pudicamente
raccolti in sé e, in certi casi lievitati dalla nostalgia. Lui
ama ripetere: “La pittura serve a richiamare i sentimenti”.
Che poi la qualità tecnica possa essere eccellente, che essa
si rifletta in certe incantevoli trasparenze di luci e colori, sì,
questo resta in quanto strumento specifico di linguaggio, come una
buona melodia per la musica. Ma alla fine quel che conta è il
messaggio dello spirito. Che l’artista distribuisce come un semplice
pane ai commensali: e che tocca a noi, con trepidazione, rendere sacro. |
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(2002) |
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*^ dal catalogo Sintesi antologica
della pittura di Ernani Costantini, 2002 |
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