Il dono di Ernani *            
                     
    di Francesca Brandes            
                     
          O Dio, quale grande bontà
abbiamo compiuto nel passato
e scordato
da donare a noi questa meraviglia…
Ezra Pound
                     
                     
  Coppia di crisantemi bianchi
   
I crisantemi bianchi, 1974
  Crisantemi bianchi è un olio su tela di piccole dimensioni, datato 1974: per il mondo di Ernani Costantini, un paradigma commovente. La centralità del soggetto minimale, trattato con affetto e considerazione, sospeso in un’atemporalità onirica; la gamma luminescente, aerea, unita ad un insistito grafismo: è ciò che l’artista intende per potere significante dell’immagine, e sentimento dell’esistere. Come un’offerta che purifica, senza alcuna malizia, secondo il principio di una necessità interiore. Per grazia dolcissima, per dono.
Molta bellezza sta in questi lavori intimi, dedicati al quotidiano: un rametto d’ulivo, un tralcio di mandaranci, un fiore nel bicchiere o l’esplosione cromatica di un bouquet primaverile. È ciò che il Maestro ha definito "aspirazione alla sostanza". Al di là dell’aspetto formale pregevole, al di là del soggetto stesso, questo è lo spazio nel mondo che spetta al pittore, e non un altro.
Ernani ha sostenuto, anche in tarda età, di dipingere per esprimere quanto della propria persona, della propria sensibilità, della propria fede potesse emergere allo stato di coscienza vigile. Uno stato di solenne equilibrio, che in lui coincide con la grazia continua del creare: è il flusso delle piccole cose – lo intuiamo – e del dolore vitale che in esse si percepisce perché, come ci ha spiegato l’artista, anche ogni intensa felicità ne è pregna.
   
  gruppo di girasoli
   
I girasoli, 1978
  La pietas in Ernani Costantini abbraccia l’esistente. Venezia, simbolicamente e fisicamente, è l’infinito fuori della finestra, il fiore nel vaso, il ritratto. L’occhio, soffermandosi sulle tracce – anche minime – di ciò che vive, spazia lontano e vicinissimo, dentro di noi. Nei Girasoli trionfanti, nelle serene vedute di montagna, nei ritratti di fanciulla anch’essa arborea, virginale o nei tripudi d’ambiente, comprendiamo la lezione impressionista e la solidificazione cézanniana dello spazio, così come la “correzione” grafica dei nordici. La luce fenomenica si agglutina senza perdere aria, mantenendo ombre luminescenti.
La storia di questo dipingere, sempre autonomo e volitivo, si è costruita su se stessa, fino ad abbracciare tutta la seconda metà del Novecento ed oltre. Esistono, è ovvio, degli antecedenti (inevitabili per una mente acuta e curiosa come quella di Ernani), e tuttavia il pittore – dopo averli incontrati sul proprio percorso – li lascia essere per ciò che rappresentano, fino ad assorbirli nel tessuto della propria ispirazione.
 
figura femminile alla finestra sul canale
 
L'attesa, 1996
  veduta del campiello San Rocco a Venezia
   
Campiello San Rocco, 1996
   
notturno con luna nascosta dietro un ramo di magnolia
   
La luna dietro la magnolia, 1994
  Pensiamo all’influsso cubista e ai gladioli del Compleanno di Lina del 1957, così leggeri e delicati, già risolti in altre forme; oppure alla visionarietà liberty del Caffè a Rapallo del 1954, che ricorda le prove di Ugo Valeri, ma le trasfigura, con un gusto scenografico per i primi piani che riecheggia tecniche cinematografiche. E che dire di certe alte diagonali, proprie dei cicli sacri, che promanano dal Tintoretto di San Rocco e dalle sue notti accese? È un sentimento vibrante del reale, quello di Costantini, si tratti del tabià di montagna o del notturno più maestoso. Comunque, l’artista non appesantisce mai la sensazione sulla tela, non carica né il segno né il timbro, in modo da mantenere quell’intima vibrazione il più a lungo possibile. "Natura è la cosa immensa che non vi dà tregua – scriveva Francesco Arcangeli – perché la sentite vivere tremando fuori ed entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento. In un tale rapporto s’include tutto ciò che si sta svelando". In “tutto ciò che si sta svelando”, Ernani annovera la sacralità del Creato, quel momento di attesa incantata che coglie il pittore quando deve porre mano alla tela. Sarà la corona delle Dolomiti, dall’incarnato roseo come i volti delle sue donne belliniane, o il rifugio specchiato di un campiello veneziano, sarà la luce della luna che filtra attraverso la magnolia o la festa di un balcone sul canale: luoghi dell’anima che diventano lo spazio della vita.
La pittura è vita, sembra dirci Ernani. Il quadro è un punto di arrivo, l’equilibrio a cui si aspira, e possiede una sua fondamentale dignità perché – come sostiene l’artista – "la pittura serve a richiamare i sentimenti". Tornano alla mente, per la loro preveggente pertinenza, i due poli entro cui Guido Perocco – critico, amico e sodale di Costantini – poneva il viaggio artistico ed umano del pittore: ordine e ardore, dove il senso religioso della vita si coniugava con un sentimento sempre affettuoso per l’esistente. "[…] credo pertanto al rapporto d’amore fra gli uomini, inteso in senso cristologico – scrive Ernani, in antitesi alle istanze pseudo-concettuali che via via vanno emergendo sulla scena artistica – odio tutte le forme di espressione – puntualizza – che, facendo leva su presunti significati e motivazioni, gabellano per opere ed operazioni artistiche i bamboleggiamenti e le sciocche esibizioni".
 
Il compleanno di Lina
 
Il compleanno di Lina, 1957
 
veduta di un interno
 
Il salotto di Lina, 1999
    A partire da simili dichiarazioni, decisamente controcorrente, si può intuire come l’ordine a cui si riferisce Perocco costituisca un unicum, o comunque una bizzarria nell’ambiente lagunare del secondo dopoguerra. Le fattezze di una vita serena, regolata, "accordata all’arte", come di chi proceda senza esitazioni lungo il cammino che si è prefisso, senza farsi toccare dalle mode, possono apparire – di primo acchito – lontanissime dalla vis poetica che si attribuiva superficialmente agli artisti. Nulla di più errato o fuorviante: nel passo di questo veneziano discreto e colto, con cui si dice fosse molto difficile litigare, leggiamo una celebrazione del mondo nella sua verità, quella che il compianto Bruno Rosada ha definito "il profondo senso della creaturalità delle cose". Un’integrità smagliante definisce l’uomo e l’artista Costantini, si tratti di una veduta minima, un ritratto dedicato all’amata moglie Lina o di un affresco religioso, in una delle tante chiese del territorio (soprattutto veneziano, ma non solo) per cui Ernani creò nei decenni autentici capolavori. È in lui, sempre, prodigiosa la congruenza tra intenzione e realizzazione, come può avvenire solo nei grandi: si pensi ad Antonello e alla sua Annunciata, al Mantegna, all’istinto vitale di Giotto. Il massimo dell’analisi in una sintesi meditata, che appare lieve nonostante il rigore, nonostante l’ordine, come la figura di un ballerino nell’aria, come principio di necessità interiore.
"Soltanto scavando dentro e attraverso la forma – sono parole fondamentali di Roberto Longhi per tutti coloro che, a diverso titolo, vengano a contatto con l’opera d’arte – e stratificando le ‘ricordanze’ tonali, si può riuscire alla luce del sentimento più integro e puro […] e non si esprime, si sa bene, che il sentimento". Come possa avvenire il miracolo in Ernani è sempre Perocco a suggerircelo, quando affianca all’ordine, al rigore dell’artista la categoria fantasmagorica dell’ardore. Senza contraddizione.
   
  famiglia contadina attorno al tavolo
   
La polenta, 1991
  Dichiaratamente, orgogliosamente cattolico, intriso della tradizione della sua terra (molti si ricorderanno la sua grande tela La polenta, con la madre a tracciare la croce in segno di benedizione sul grande sole giallo al centro della tavola), Ernani vive la propria religiosità in modo assoluto e sincero. È la fede a pervadere di un ardore splendente ogni cellula del suo giorno. "Tutto il vissuto è sacro – ha scritto con rara intuizione Bruno Rosada – tutto il sacro è vissuto". Procedere così, con ordine e ardore, ha significato certo per l’artista un andare controvento. Aderente (fino a divenirne Presidente) dell’U.c.a.i., poco incline a seguire le sirene degli “ismi” contemporanei, con testardaggine, ma sempre con un sorriso di offerta al mondo, Ernani Costantini ha costruito un percorso autonomo, fino a generare una cifra chiaramente distinguibile. La tela I pani e i pesci del 1959 parla già con chiarezza, indicando un procedere limpido ed assoluto.
Bisogna ribadire, e con forza, la libertà artistica ed etica di Ernani: libertà nei soggetti, in un clima che prediligeva ricerche impegnate sul versante concettuale; libertà delle forme espressive che accolgono l’aperto tiepolesco e lo ristrutturano, o guardano al Tintoretto, persino al Caravaggio per volontà costruttiva. Diceva spesso: "a me piacerebbe donare gioia", e lo ha sempre fatto con consapevolezza, ma senza intenzione dichiarata di poetica. Una gioia elementare, strutturale, proposta senza mediazioni: una pianta è una pianta, la luna è la luna, nulla che si debba chiamare in un altro modo, se l’occhio può raccontarlo bene. Le opere di Costantini godono di una moralità intima e tutta legata alla loro percezione fenomenica, anche alle loro contraddizioni. Tuttavia, non vi è gioia – sembra dirci Ernani – se non nella soluzione, nel superamento delle contraddizioni stesse: tutto diventa quotidiano senza risultare banale; la forma non cancella la luce mattutina che anima la visione e che l’artista ostinatamente persegue: "donando / ai miei quadri un chiarore / aurorale / di prima comunione / di primo amore…" scriverà in una bella lirica tratta dalla raccolta L’abbaino (1995). È anche poeta Ernani, e romanziere, con la medesima luce nella mente e nel cuore (molto sarebbe ancora da analizzare nella sua opera letteraria, che qui ci limitiamo a cogliere come suggestione, quel tanto che basta per comprendere la profondità della forza espressiva di questo artista, e l’ampiezza dei suoi interessi).
 
I pani e i pesci
 
I pani e i pesci, 1959
  La giornalaia
   
La Giornalaia, 1954
  Esistere – consistere: condizione che accomuna Ernani ad un altro grande “battitore libero” del suo tempo, Arturo Martini. L’intima corrispondenza fra i suoi ritratti illuminati dalla grazia e la Leda martiniana basterebbe da sola a spiegare l’intenzione classica di Costantini, lo studio attento della tecnica luministica, così come il nitore delle biancherie stese, il rosa degli incarnati e dei petali. Materia che esiste-consiste con la dignità della tradizione, del tempo trascorso, delle esperienze compiute. Ogni volto, la Giornalaia, le Cugine, le fanciulle dei suoi nudini pudichi e splendidi, paiono distillati, emendati da ogni accidente terreno, come ovali del Laurana. Difficile, dunque, assimilare Costantini ai petits maîtres post-impressionisti del secondo dopoguerra lagunare. Altri sono i richiami, altre le strade seguite da Ernani, in quella pittura timbrica, molto più difficile da analizzare di quanto non sembri felice, serena, accordata nella risultanza dell’equilibrio pittorico. A ricercarne le tracce, non potremmo assolutamente prescindere dalla grande fucina della Scuola d’Arte dei Carmini che Costantini frequenta, diplomandosi nel 1942. Vivaio d’eccellenza, dove insegnano maestri come Ercole Sibellato per la pittura, Mario Disertori per il disegno di figura, Giorgio Wenter Marini per la composizione architettonica e il grande Giulio Lorenzetti per la storia dell’arte. Saranno loro ad influenzare, da subito, per qualità ed onestà intellettuale, il percorso dell’artista. Ernani vive da veneziano, ma con un’aspirazione – da principio – tutta rivolta ai toscani. È la solida via dei giotteschi ad impressionarlo, ma – come spesso avviene a Venezia – anche l’aria dei fiamminghi penetra nelle sue riflessioni, come un vento di verità. Del resto, il collegamento fra le vicende lagunari e la cultura nordica anima di sé tutto l’Ottocento veneto e friulano (non si scordi il filo rosso, discreto ma tenace, che lega Ernani alla scelta intima di Favretto o al vedutismo di Caffi, per approdare al Casorati delle Signorine, alla pittura-pittura delle Tabacchine di Cadorin, con il soggetto quotidiano al culmine della semplicità).  
cugine, doppio ritratto
 
Le cugine, 1975
  angeli che volano dentro la basilica di San Marco
   
San Marco: interno giorno, 1987-88
  Piace ad Ernani, via via che si definisce un’impronta personale (ormai padre di famiglia e insegnante), il dipingere come scelta di vita, una pittura figurativa robusta, fondata sul primato del disegno. Tuttavia, la prospettiva lineare, trattata con la più grande esattezza (come si conviene a chi ha letto correttamente, e compreso l’esperienza di Antonello, la costruzione di Piero della Francesca), vi è raddolcita dall’atmosfera di laguna. Nella costruzione dei piani verso l’orizzonte, Costantini smorza i toni e sfuma le forme, cosicché è la prospettiva stessa a farsi aerea; come ha osservato Perocco: "ove tutto diviene aereo e vaporoso e gli angeli volano assieme agli uomini, alle virtù femminili, morbide e ben nutrite, alla gloria, al tempo e alla fama…" Ce lo ricorderemo, nell’osservare San Marco: interno giorno, una tela del 1987-88, abitata da presenze angeliche in un contesto meraviglioso e familiare come la Basilica. Questa, peraltro, è anche la prospettica magica di Ernani: un’ottica straniante, ma per piccoli tocchi, per quel tanto di deviazione di senso che la realtà concede. La Venezia del pittore non ha nulla a che fare con gli stereotipi, con la vana citazione di spazi. Non è neppure una vetrina di lusso. Vi si legge, invece, la volontà insopprimibile di affermare – con garbo e decisione – che la pittura è un assoluto dell’esistenza, dove è ancora possibile il miracolo.    
    La figurazione, in Costantini, annuncia la vita senza sottrarne il mistero, l’evidenza profonda. L’operare dell’artista, anche per queste ragioni, è contraddistinto da una coerenza estrema, sia nei soggetti profani che nei grandi teleri di arte sacra che – dagli anni Cinquanta in poi – Ernani ha prodotto su commissione per numerose chiese del Veneto: da Padova ad Auronzo, da Sacca Fisola a Mestre, a Rovigo. Da pittore a frescante: rimangono le storie, narrate con la medesima cultura figurativa, la stessa semplicità complessa; resta una cifra assolutamente personale nel dimensionamento dei personaggi che talvolta sembrano volare o s’accendono di uno straordinario lume drammatico. Anche se l’analisi dell’arte sacra di Ernani Costantini meriterebbe, senza alcun dubbio, una trattazione specifica, non si può fare a meno di ricordare in questa sede almeno la mostra Veneto cristiano, presentata a Venezia nell’autunno del 1991, in cui l’artista racconta il rapporto con le proprie radici, a partire dai luoghi cardine della religiosità: il Santo di Padova e Santa Giustina da Prato della Valle, il Santuario di Monte Berico, il Ponte Votivo del Redentore e la distesa dei campanili veronesi visti dall’ansa del Teatro Romano. E ancora Da Eva a Maria, il grande ciclo pittorico dedicato alle donne della Bibbia, che Costantini realizza nel 1985 con l’apporto poetico di Antonio Bruni.
Sempre l’occhio chiaro di Ernani, benevolo ed intelligente, posato con leggerezza sul mondo: "Mi domando – scrive – se può esservi dicotomia tra la pittura a tema religioso e quella a tema profano. Decido di no e cerco di operare una sintesi […] Mi riaffermo – conclude – nel concetto che ‘tutto è sacro’ quando ci sia sacralità in noi di fronte alle cose della vita".
Non resta oggi, ad alcuni anni dalla morte del Maestro, solo il rimpianto di quella vista limpida. Di Ernani ci resta il dono: la luce, il colore. Resta l’esempio di come ci si debba occupare d’arte, di letteratura, di musica, in un mondo che sempre più trascura l’essenziale: con dignità e valore. Con la volontà di offrire, con l’esercizio silenzioso e continuo della ricerca, con onestà intellettuale. Come dire, con ordine e ardore.
 
processione sul ponte davanti al bacino San Marco
 
Venezia Ponte votivo del Redentore, 1990-91
                     
   

Francesca Brandes
giugno 2014

   
                     
                     
    *^ dal catalogo della mostra Il dono di Ernani, 2014    
                             
                             
  © Famiglia Costantini