Diario veneziano *            
                     
    di Paolo Rizzi            
                     
                     
regata storica in canal grande
 
Prima domenica di settembre, 1996
  La finestra dello studio è là da anni. Lui l’apriva e la chiudeva distrattamente. Al di là c’è un cortile con una magnolia. Ma un giorno la radiolina effondeva le note dolci di Begin the beguine. Cosa successe? "Non lo so nemmeno io – racconta ora Ernani Costantini – so che mi apparve la luna dietro il fogliame. Ed io sobbalzai. Mi pareva fosse la prima volta che guardavo da quella finestra incantata".
L’arte è così: un tuffo al cuore, un momento di straniamento, appunto un incanto. Ernani Costantini ha cercato, ora che anche per lui gli anni avanzano e avanzano, di ricordare: cioè di fissare quel momenti irripetibili.
Lo ha fatto naturalmente con il suo abituale strumento di lavoro: la pittura. Sono nati una trentina di dipinti, ognuno dei quali rievoca qualcosa, cioè tenta di riprendere quel profumo, quel clima, quell’attimo magico che s’era verificato un tempo e che lui conserva ancora dentro. Polvere di ricordi, nostalgie, sobbalzi pudichi di felicità.
Ma sono poi semplici ricordi? Ecco che sopravviene l’aspetto letterario, diciamo pure visionario. Ernani ha ritratto il familiare campo dei Mori ma cercando di immedesimarsi in colui che più di quattro secoli fa, ormai vecchio, lo percorreva ogni sera per andare a pregare alla Madonna dell’Orto: il Tintoretto. Una sorta di affettuosa complicità tra il pittore di oggi e il pittore di ieri. "Mi par di vederlo ogni tanto, attraversare furtivamente quel campo…”. Oppure è una poesia a far sorgere, improvvisamente, il fantasma, come nel caso di Dora Markus, la ragazza ebrea che mirabilmente Eugenio Montale ha delineato nel suoi versi e che ora appare ad Ernani mentre sta seduta, pensosa, enigmatica, al caffè, con dietro la visione del bacino San Marco. "Si vedono, si sentono – mi chiede Ernani – i pensieri di quella donna? i suoi tragici presentimenti?".
 
lo zanni precipita dall'altalena
 
La caduta dello Zanni, 1987/88
il teatro tra le fiamme
 
Il rogo de La Fenice, 1996
  È una specie di ‘diario veneziano’, discreto e personalissimo: fatto magari di sfumature, oltre che di barbagli, di illuminazioni. I ricordi son così: si spargono sul tappeto come minuscole schegge dorate. Chi li raccoglie?
Una signora nel palco della Fenice ascolta la musica di Brahms. Appare con la sua fragile compita eleganza nella penombra, uscita quasi da un medaglione ottocentesco. Ernani ha dipinto anche il rogo terribile del teatro; ma s’è appuntato su questa misteriosa, emblematica signora che ascolta Brahms. Chissà? Forse è successo una sera di dieci, venti, trent’anni fa. Quel volto assorto è rimasto nelle pieghe subliminali dell’artista; poi è venuto fuori, s’è materializzato nel dipinto. Ma resta un fantasma. "Il brivido di un ricordo che forse non è nemmeno un ricordo", sussurra Ernani. L’ambiente, la scenografia, il luogo è (e come non poteva essere?) Venezia: la città di Ernani. Egli, in questo diario intimo, la dipinge talora direttamente, anche nel suoi momenti più folgoranti come il corteo della Regata storica, talaltra in modo obliquo, quasi personale, nascosto. Nel grande quadro degli ‘Zanni’ Venezia nemmeno appare. Ma la caduta di quel personaggio così emblematico della Commedia dell’arte simboleggia (certo!) un’altra caduta: quella di una cultura, di una civiltà, forse di quella che un tempo era la vera venezianità.
 
donna in ascolto in  un palchetto del teatro
 
Brahms a La Fenice, 1996
il canal grande a rialto visto da palazzo cappelli
 
Canal Grande a Rialto, 1996
  C’è sempre qualcosa di patetico nelle Venezie di Ernani. Esse vibrano e gioiscono nell’aria e nella luce, ma nel contempo si sentono, paradossalmente, estranee. Come dire? Straniere.
Questo Diario veneziano ci conferma in un’idea che sempre abbiamo avuto ma che stentava ad uscire dal suo alveo, a precisarsi. Ernani è fino ad un certo punto un pittore veneziano. Il suo cuore lo conduce diritto all’interno della città da lui tanto amata (amata e vissuta); ma la sua sensibilità, la sua cultura lo portano lontano. Non vedete le intonazioni dei suoi quadri?
Quelle mistioni tra verdini e rosati che vengono dal Nord e paiono quasi rifiutare la matrice tizianesca? Il Canal Grande colto da Palazzo Cavalli o lo stesso campo San Polo sono avvolti da un’aria che richiama gli echi del simbolismo-secessionismo, se non gli algori pungenti dei pittori venuti da Amburgo o da Stoccolma. Pittura timbrica più che tonale. Da cosa dipende? lo dico: dalla cultura stessa di Ernani, dalla sua frequentazione con letterature straniere, dalla assiduità nei musei, dall’amore per poeti come Rimbaud, Verlaine, Maeterlinck, o come lo stesso Eliot.
   
    E poi: chi ha detto che il filone giorgionesco-tizianesco sia il vero esponente della cultura pittorica veneziana? Ernani è della stessa parrocchia di Tintoretto. "Per me lo scrigno della pittura è la Scuola di San Rocco", dice. S’intenda: il luminismo drammatico, talora spettrale, di Tintoretto rappresenta l’altro filone, pur minoritario, del venezianismo pittorico. Al dì là ci sono El Greco e magari Goya, Munch e magari Ensor. Il cerchio si allarga. Non a caso, pudicamente, Ernani cita Favretto solo con la iniziale.
Chi non s’è mai soffermato a guardare la folla che sale e scende dal ponte di Rialto? Ernani ha dipinto la scena con piglio brioso ed estroso colore. Ma, guarda caso, l’associazione che gli è venuta alla mente non riguarda Goldoni né Guglielmo Ciardi, bensì proprio Eliot. Ne La Terra desolata il poeta parla del London Bridge citando Dante. La folla degli ignavi è tanta "ch’i’ non averei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta". Quei turisti che transitano per Rialto diventano qualcosa d’altro.
La vera pittura è così. Anzi: un vero veneziano non può essere che così: aperto al mondo, oltre ogni impossibile nostalgia veneziana.
 
folla che passeggia sul ponte tra i negozi
 
Sul Ponte di Rialto, 1988
                     
                     
      Paolo Rizzi
1996

         
                     
    *^ Dal catalogo della mostra Diario veneziano    
                     
                     
                     
                             
                             
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