|
|
|
|
|
Un modo difficile di essere diverso |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
di Gigi Scarpa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Forse fu proprio per Costantini che una
volta, osservando una riproduzione di un impressionista francese, capii
che se quel quadro aveva un valore, non solo storico, anche alcune
delle opere dell’allora pittore veneziano appena conosciuto, non erano
certo meno valide, meno significative. Anzi mi parevano migliori.
Né valeva la presente opposizione che, le sue, potevano essere “fuori
tempo”, “inattuali nella cultura del momento”, “senza
informazione”; perché invece esse erano nuove e vive nell’ordinato
svolgimento del suo avviarsi all’arte dopo il tirocinio della scuola,
frequentata con amore ed entusiasmo, poiché essa era ancora
capace della sua vera funzione: ‘accompagnare una vocazione’ dando
nozioni tecniche, pratiche e umane, necessarie ed essenziali per guidare
all’arte un giovane intelligente, sicuro e dotato.
E uscito dalla scuola Costantini seppe infatti (dopo la lunga pausa
della guerra) ordinare all’arte che voleva realizzare e la famiglia
che coscientemente fondava con umiltà e fedeltà forte
di una interiore preparazione spirituale dichiaratamente cristiana,
e il suo lavoro nella scuola che doveva essere il sostegno della casa
e della sua così più libera attività di pittore,
quanto aveva fino ad allora imparato e vissuto.
Scrivo tutto questo proprio perché diventa oggi quasi eccezionale
un percorso di vita limpido e sereno anche nelle difficoltà e
nelle lotte per l’esistenza e la pittura dentro una forma o un aspetto
che piuttosto concordemente ma anche superficialmente (se non stupidamente
) si può dire ‘borghese’. Ed è invece così facile
(talvolta) fare gli antiborghesi, cercando nel disordine, o negli artifici,
presunte libertà assolute o almeno ispirazioni o, meglio, eccitazioni,
anche se forse – anzi senza forse – queste possono diventare
esperienze ricche e feconde. Ma restare dentro i limiti naturali di
un ‘umanesimo’ limpido e tradizionale può essere,
ed è qualche volta, veramente coraggioso oltreché intelligente.
Se poi vado lontano nella storia dell’arte so che tale borghesismo è la
sostanza certa della immensa ricchezza non solo degli anonimi pittori
del primo medioevo, ma sicuramente dei grandissimi dei secoli seguenti
(da Giotto a Tiepolo) giù, giù, almeno fino al romanticismo
più rivoluzionario. Quante volte infatti Ernani mi ripeteva,
in colloqui fraterni e attenti, davanti ai testi più attuali
della pittura contemporanea, quanto sarebbe stato comodo (e quanto
era facile) approfittare di una imitazione, cogliere dei motivi, liberarsi
del vero, seguire una moda e non essere più se stessi; e non
farlo invece proprio perché si è veramente persuasi della
grandezza e potenza, poniamo, di Cézanne o Modigliani, di Picasso e
Mondrian e in che cosa esse consistano; così, allora, questi
grandi sarebbero stati amati e compresi veramente.
In fondo, mi si lasci una citazione quasi retorica, ma così valida:
bisogna obbedire all’antico insegnamento “conosci te stesso” per
essere veramente ‘se stessi’. A questa conoscenza è rimasto
fedele Ernani Costantini, senza paura di essere isolato, o forse con
paura ma senza transizioni, anche a Venezia sua città, e qualche
volta dimenticato o sottovalutato. Sempre però fortunatamente
libero. Per questo mi è caro, molto caro, anche lontano, tornare
a scrivere di lui, come la prima volta nel 1954, ora che da quasi trent’anni
lavora, oggi che vuole rivedere, ristudiare, valutare un arco di vita
e di attività che gli sia di sprone a proseguire e certezza
di non aver tradito entusiasmi e passioni di una vocazione struggente
e magnifìca. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ma dove trova Ernani le sue ispirazioni?
Da dove viene il suo mondo poetico? E, possiamo anche dire, cosa vuole
la sua pittura?
Dopo un primo momento, fuori dei muri di scuola, un’ansia viva della
realtà dà ragione delle sue ‘note di vita’ quali
appaiono continuamente attorno a noi dalla cronaca, dal cinema, dalla
pubblicità. A questa attualità (o modernità) egli
partecipa con le sue prime opere, accompagnate dalla passione rivelatrice
per la musica più recente, più nuova, sostenuta da quella
più segreta e più amata, ormai classica; dal jazz a Bach,
da Mozart a Debussy che sono stati motivi specifici di ispirazione.
Ma subito apparirà un altro elemento più personale ancora
a dire qual è la ‘pittura di Ernani
Costantini’. Un mondo intimo e delicato, ricreato nello studio
delle nature morte, degli interni, delle trascrizioni dalla poesia
meglio conosciuta e più intimamente amata: i duecentisti e Montale,
Dos Passos e Eliot sono gli autori che a quel tempo prediligeva, che
conosceva a memoria, che assaporava continuamente.
Su questa costante si svolgerà tutta la sua attività,
la sua ricerca e la sua creazione, dominata da quella interiorità e
presenza religiosa ugualmente evidente e chiara nella tematica ‘sacra’,
che costituisce un nucleo particolare notevole ed alto nella sua ormai
ventennale storia. E su questo percorso, che può avere un diaframma
ondulato di culmini e di cadute (li conoscono tutti gli artisti: quandoque
bonus dormitat Homerus) cerco di segnare qui momenti, tappe, riprese,
aperture. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Se la prima soddisfazione fu quella di
essere selezionato al Premio Marzotto del 1954 con La
giornalaia ancora fresca di colore, senza alcun dubbio un
ancor più notevole risultato toccherà realizzando Caffè a
Rapallo, una delle opere più belle e importanti
non solo di Ernani, ma, lo credo proprio, di Venezia, in quello stesso
tempo, almeno tra i giovani. Forse unica. Anche se ancora sconosciuto
questo grande quadro del 1953/54 riassume ed apre una ‘caratteristica
costantiniana’ molto importante. Esso è costruito compositivamente
con una libertà che è intuitiva di quella per es. cubista
o addirittura liberty, dentro un disegno sciolto completamente nel
colore, che ha una delicatezza e un sapore montaliano, straordinario:
la ‘signora’ in primo piano un languore ricco di poesia
e di sentimento e una eleganza che è del tempo e dove la sua
solitudine contrasta con l’allegra brigata dei monelli che suonano
i loro surrogati di strumenti. |
|
|
|
Caffè a Rapallo, 1954 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L’anno dopo dipinge la Maternità in
tutto degna del ‘classicismo’ picassiano, forte e
chiusa nel disegno, avvolta in un tono di colore grigio-rosa che la
blocca in una interiorità che esprime insieme amore e dolore,
fino a raggiungere una altezza rara in una unità formale e plastica,
oso dire, eccezionale.
Così come i primi ‘ritratti’ mostrano una capacità fresca
e sicura di rendere una realtà precisa, con una agilità di
taglio e di stesura sempre notevole e resistente al tempo.
Nel Ritratto di G. S. le curiose strisce della giacca e le oblique
delle membra in posa sono elementi formali caratterizzanti come lo
stacco di tutta la figura sul fondo di un rosa delicato ed equilibrato
con i bruni del primo piano volumetrico. |
|
|
|
|
|
Maternità, 1955 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Toccata e fuga, 1957 |
|
|
Nello stesso tempo la necessaria e naturale ‘scoperta’ dei
più importanti pittori contemporanei – da Kokoschka, che
lo impegnava nel ‘paesaggio’, a Picasso e Braque che lo
avviavano a rinnovare le sue ‘nature morte’ – gli
dava modo di affrancarsi dal vero, di impegnarsi con qualche esperienza ‘non
figurativa’, ad avventurarsi verso una nuova realtà lirica
tutta personale, interpretativa di temi diversi ispirati o dalla musica – (e
Toccata e fuga è un quadro completo, attento e vibrante;
e San Marco vi è si presente ma trasfigurato, nella luce dell’oro,
in un canto esplosivo e unitario) – o suggeriti dalla poesia
(e La lettura unisce in rara unità di colore, spazio
e tempo con forza immediata e sintesi robusta) – o dall’architettura
(e la trasfigurazione dell’interno di Taliesin
West resta
uno dei suoi quadri più importanti e significativi sia per il
tono e la luce, sia per la ricreazione poetica del dato crudamente
fotografico, conquistando un sentimento e una atmosfera piena di risonanze
squisite e struggenti).
|
|
|
|
Taliesin West, 1957 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Sono opere che, con altre interpretazioni
del vero e della natura (alcune libere costruzioni di ‘ficus’ furono,
per un momento, un tema ripetuto e gustato) diventeranno argomenti
o soggetti ‘tipici’ di Ernani, verso una caratterizzazione
che non è mai sigla o formula, ma fresco slancio per dare alla
natura e al vero (oggetto, paesaggio, persona) quella luce che è vibrazione
e moto, spazio e tempo; un’anima, attraverso la quale il quadro è reale
e fantastico, vero e astratto, ordine e libertà.
Ricordo un Ficus del 1957 costruito foglia su foglia in una ascensione architettonica,
quasi una scala (come è quella della natura nel far crescere appunto su
uno stelo le foglie), eppur continuamente leggero per il moto puntuale della
luce, che dava sostanza e forza alla dura foglia della pianta elegante e insieme
ne conservava il lucore e la forma. Un quadro impostato su una lezione in qualche
modo cubista, senza perdere mai verità e spontaneità, senza mostrare
un programma o una qualche imitazione, capace di conservare col vero un ordine
nuovo di ritmo e di colore, di forza e di luce, per raggiungere, unica, una forma
personale e libera che era (ed è) il suo valore. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Strano interludio, 1954 |
|
|
Così vorrei definire alcune fra
le ‘pagine’ più importanti di Ernani, quali sono
state, ieri Composizione con i giornali tutta azzurra , Morte
nel pomeriggio (variazione in chiave cubista del più vecchio
Strano interludio), Omaggio a Dos Passos e molte
delle sue ‘nature
morte’, fino alle più recenti a cui ha saputo accordare
con una luce trasparente una larghezza di spazio che le fa colore e
disegno in un modo compositivo nuovo e dove, l’ispirazione, che
si potrebbe definire di derivazione estremo-orientale, è ormai
dominata in una assoluta interiore originalità, che non permette
più citazioni
di fonti. Tra queste ultime pitture mi paiono più alte, seppur
tanto semplici e perfino apparentemente immediate, L’ulivo,
Qualche patata e I mandaranci.
Mentre senza timore e con un impegno che è morale oltreché ideale – e
perfino polemico con un mondo di cui certo Ernani conosce la drammaticità e
la violenza, l’ansia di rinnovamento e l’utopia rivoluzionaria, e per
questo vuol donargli la gioia del colore, della luce, della natura
(gioia che per lui, come per me, è dono di pace, è speranza,
certezza) – con questo impegno Ernani ritorna al ritratto, al
nudo, dai quali trarre una uguale serenità e una uguale gioia.
Ma calandovi talvolta anche un’ansia interiore che anima il personaggio,
come in quel nudo su fondo rosa, dando alla stupefatta solitudine della
donna nel vasto spazio attorno, un peso doloroso anche se dentro un
disteso equilibrio. |
|
|
|
Omaggio a Dos Passos, 1958
|
|
|
|
|
|
|
|
L’ulivo, 1968 |
|
|
|
|
|
|
|
I mandaranci, 1971 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Sottolineare poi, non a parte, ma per
un rilievo particolare, quanto Ernani ha dato e realizzato nel campo
del ‘soggetto religioso’, è, mi sembra, una eccezione
da scrivere. E ho scritto ‘soggetto religioso’, perché in
certo modo perfino ‘romantico’, tutta l’arte è sacra,
ma particolarmente per lui, proprio per come ogni volta rende sacra
e cioè quasi offerta a Dio, prima che agli altri, ogni sua
opera, come riconoscenza alla Sua creazione e allo splendore di essa.
Egli cerca di conservare tale senso sacro anche ai più difficili
(forse) ‘soggetti religiosi’, tanto spesso decaduti perché sottratti
alla grande tradizione dell’arte religiosa così ‘esemplare’ e
sicura nella sua storia.
Ed è una ‘storia’ tipica nel cammino del pittore,
che rivela impegno e coraggio e, senza dubbio, quanto più l’opera è liberamente
commissionata e accettata tanto più forte risulta il suo carattere
religioso, tanto più ricca e originale la realizzazione e,
infine, tanto più valido l’apporto perfino all’educazione
religiosa del popolo, per diventare, come fu, anche ‘educazione
all’arte’. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Inizia con la ‘avventura’ del
San Giuseppe che doveva entrare in umile silenzio alla Madonna
dell’Orto
e che trovò invece stolide opposizioni nella retorica di un
mal inteso e falso rispetto del passato. Era sì un quadro
logicamente e naturalmente impostato secondo un giusto criterio attuale,
con libertà di colore e di composizione, ma che pure rivelava
una continuità caratteristica con la ‘pala’ tradizionale
(il santo in primo piano e sullo sfondo scene della sua vita) dentro
forme espressive attuali – e forse si poteva discutere sull’unità tra
un certo ‘verismo’ (comandato) del volto di S. Giuseppe
(finalmente giovane uomo con il bambino irrequieto tra le braccia)
e gli episodi del fondo, più liberamente inventati, fino a
una certa ‘astrazione’.
Però rimaneva opera degna perché ordinata ed efficace,
rispettosa del soggetto e del luogo a cui era destinata, con bellissimi
particolari talvolta perfino ‘antichi’, come gli attrezzi
del falegname, quasi direi ‘tintorettiani’. |
|
|
|
|
|
San Giuseppe col Bambino Gesù,
1955, Istituto Costantino, Mirano |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Voglio ricordare una Via
Crucis (oggi
nella chiesa del Seminario di San Vito di Cadore) di disegno astratto
e simbolico che Ernani dipinse qualche tempo dopo, modulata di grigi
e di violetti, preparazione direi, a quella per San Canciano (simile
a quella dei PP. Cavanis già A.C.) organizzate in terzine
felicissime su quattro toni fondamentali ed espressivi: il rosso-rosa,
il giallo oro, il viola, il grigio e il nero, simboli di facile lettura
della condanna, dell’amore, della malinconia, fino al buio del sepolcro.
Ci fu poi la grande Crocifissione (ora a Reane di Auronzo)
a proposito della quale mi paiono sempre valide le parole che scrissi
nel 1957 e che voglio ripetere: “… con le altre figure
e la Maria Maddalena così chiara nella costruzione e nel colore
e così chiusa nella sua forma sempre attuale, e il suo spazio
dentro rapporti attentamente geometrici, la pala … mostra
l’urgenza del pittore di seguire, in modo libero e personale,
la lezione semplificatrice ed architettonica di un particolare
astrattismo”.
Il quadro fu preparato con ‘appunti’ e studi di Crocifissi
diversi, tra i quali la Pietà di casa M.C., così essenziale,
così severa e così delicata insieme. Soprattutto, come
la pala, senza retorica di gesti o di colori, ma come quella, e più ancora,
chiusa nel monocromato espressivo di un dolore infinito. E merita
qui ricordare il piccolo Sacro Cuore di mia proprietà in cui
Ernani poté finalmente rompere il sentimentalismo fisico di
questo difficilissimo tema dipingendo un solo grumo di sangue e qualche
spina più intuibile che definita sul fondo oro che lo nobilita. |
|
|
|
Via Crucis, V, 1956, chiesa di San
Canciano, Venezia |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Tra il ‘64 e il ‘68 è il
momento delle grandi composizioni murali nella chiesa di Sacca Fisola
a Venezia, di Altobello e Bissuola a Mestre e Sant’Agnese ancora
a Venezia. Opere che impegnarono il pittore per mesi e mesi, sia
per la preparazione e il concepimento delle idee, la stesura dei
disegni di studio, la ricerca delle soluzioni compositive, non certo
semplici perché obbligate
all’architettura, prima di aggredire con entusiasmo ma anche
con tremore le enormi superfici delle pareti nude.
Abituati come siamo al quadro da cavalletto, sempre modesto nelle
proporzioni, si poteva credere che alcuni dei più singolari
caratteri del pittore e alcune particolari e originali qualità – freschezza
e luminosità, spazi mobili e incastri dei piani e dei volumi
nella luce – si perdessero nelle estese composizioni. Mentre,
studiate attentamente, si ritrovano con eguale tocco, con eguale
lirismo, con eguale spirito. Basta ripercorrere nella vastità di
ogni composizione e nel suo moto, l’idea rappresentata e rappresentativa,
gustarne lentamente i ‘momenti’ e allora si rivedranno
tutti i suoi quadri più vecchi e quelli futuri.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Resurrezione di Cristo
e comunione dei Santi 1964, S. Gerardo Sagredo, Venezia |
|
|
Nella Resurrezione di Sacca
Fisola è evidente e importante l’ascendere della composizione
verso l’enorme Cristo del gruppo dei Santi a sinistra, con ottimi
particolari e il suo discendere fino ai personaggi dei ‘nostri
giorni’ (tra i quali Ernani voleva mettere anche Chaplin quale
donatore di gioia), che ci danno una serie di ritratti ideali
(ed anche fisici) assai significativi del pensiero dell’artista in
un rinnovato ‘anacronismo’ così caro e frequente
fra gli antichi. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ho seguito assai da vicino il nascere
dell’Assunta di Mestre (partiva con slancio ed entusiasmo dalla Sposa
felice di Arturo Martini) nella difficile spirale della composizione,
obbligata dalla curva e dalle finestre della cappella e so cosa volle
dire la ricerca di questa sintesi amplissima (nelle misure enormi)
delle figure nella luce che le costruisce e le tiene nell’aria sospese
e felici. Forse ancora più riuscito è il San
Girolamo Emiliani nella stessa chiesa, anche per la varietà degli episodi,
che alleggerivano la soluzione del problema dello spazio e della
stessa composizione, con la maggiore mobilità dei colori variati,
sottolineando così particolari da antologia (gli ‘appestati’ – legati
a tragici momenti recenti e attuali – il bel paesaggio di Quero,
vivo ed esatto). Sicuro e pertinente anche l’innesto delle scritte “come
facevano gli antichi” ci ripetevamo. |
|
|
|
|
|
San Girolamo Emiliani, 1966, Cuore
Immacolato di Maria, Mestre |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Storie di Maria, 1968, Cuore Immacolato
di Maria, Mestre |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ultima Cena, 1968
S. Agnese, Venezia |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Più tradizionale la composizione
orizzontale e quasi frontale dell’Ultima
cena in Sant’Agnese.
A me che gli opponevo il pericolo di essere (e non è) troppo ‘classicheggiante’ e
costretto a una espressione ancora castagnesca o raffaellesca – irripetibile – Ernani
coscientemente mi ribatteva: “Devo forse aver paura? Non ho
timore se nei miei Apostoli e nel mio Cristo alcuni crederanno di
rinfacciarmi tali lontani modelli. Per secoli così è stata
dipinta la Cena, ogni volta nuova, nonostante tutto, … ma
sono stato anche capace di liberarmi di questi schemi, come in quella
che conosci, centralizzata attorno alla mensa rotonda, che è a
Bissuola”. (E io so – voleva dire – e tento oggi,
con la mia libertà e col mio mestiere e soprattutto con il
mio impegno intimo, di immaginare e realizzare un Cristo eucaristico,
gli Apostoli cori i loro volti diversi – e anche uguali per
la stessa fede stupefatta e commossa perfino in Giuda. |
|
|
|
Ultima Cena, 1967, S.Maria della Pace,
Mestre |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
E in mezzo a queste opere ce ne stavano
altre più intime, più scavate dentro personali interessi
emotivi e plastici sempre con ideale destinazione religiosa: I
pani e i pesci su cui scende una luce miracolosa e lo sfortunato
(tanto mal capito) Emmaus che tante volte, nei volti, nel
contrasto dei due toni fondamentali del colore, nelle composizione
libera – “sono spinti dal vento dello Spirito” – mi
richiamavano ad esemplari rembrandtiani, anche se indistinti alla
memoria. |
|
|
|
I pani e i pesci, 1959 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Più lontana nel tempo, ma non
la voglio dimenticare, l’Annunciazione del 1955 con
un bellissimo Angelo dominante nella luce che investe lo spazio:
una delle opere disegnate con una precisione attentissima eppur delicatissima,
senza turbamenti per il colore.
Perché anche per Ernani il disegno (più segreto e poco
conosciuto) è rivelatore delle sue qualità, soprattutto
della preparazione ai ‘temi’, dello studio dei particolari
(ricordo quelli per il ’giglio’ della citata Annunciazione,
eccezionali di purezza e di sostanza plastico-formale) e delle composizioni,
anche se tante volte gli viene spontaneo entrare nel quadro ‘affrontandolo’ direttamente
sulla tela. Ma non mancano ottimi esempi di quanto il suggerimento
o l’idea (commissionati o scoperti e sentiti improvvisamente) siano
studiati, guardati e ricercati con il mezzo più rapido, vario,
del disegno, che è sempre fondamento alla tecnica dell’arte.
Né il discorso è finito, perché (lo leggevo
qualche giorno fa) come diceva il vecchio Kokoschka, ridisegnava
La notte di Michelangelo, “al vero artista occorre sempre imparare” e
anche Costantini non rifiuta certo questo insegnamento: da tutto
si può e si deve imparare: dal passato e dal presente, dall’arte
consacrata e dalla vita di ogni giorno, dalla natura e dalla tecnica
e tutto calare nel proprio spirito, farne corpo e anima del proprio
sentire per riconsegnarlo, trasfigurato da una personale ‘poesia’ agli
altri come dono e come grazia.
Così si potranno considerare altri aspetti non minori per
capire come Ernani crea la sua pittura. Accanto alle conoscenze
tecniche c’è un attento, continuo personale studio dell’arte
(storia e critica) reso più vivo dall’urgenza di trasmetterlo
ogni giorno ai suoi allievi.
Quante volte l’ho sentito parlare delle sue ‘lezioni’ con
metodi e argomenti che rivelavano
passione, gusto, sensibilità e perfino commozione di fronte
alle più spontanee ‘risposte’ degli allievi. Così come è importante
il suo stesso esercizio critico, dedicato a un’arte, abbastanza vicina
alla pittura, come è il cinema, che diventerà spesso,
nel suoi personaggi, nei suoi ‘fotogrammi’ occasione
di ispirazione e talvolta di insegnamento anche per lui. E se in
una recente ‘comunicazione’ ad un gruppo di docenti ha
parlato del ‘disegno’ e del ‘gesto’, so quanto
più vera è la sua esperienza, perché accanto
al disegno, anche il gesto (in gioventù nel teatro per es.)
lo definisce spesso nella sua personalità.
Sono elementi che concorrono a realizzare non solo la sua personalità con
esperienze varie e stimolanti, ma contribuiscono all’ultimo
scopo della sua vita – ed è il primo: quello di tradurre
la sua vita nella confortatrice bellezza della pittura – “Voglio
donare gioia” è una sua parola sincera e rivelatrice.
Una volontà, perseguita con fiducia e sacrificio da Ernani
Costantini. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Gigi Scarpa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Marsiglia, febbraio 1973 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|